Filtrosofia: un punto di vista filosofico sulle nuove arti visive – BLADE RUNNER

BLADE RUNNER. L’ANIMA DEI REPLICANTI
(Articolo di Pietro Martinetti)

Che cos’è un essere umano? Cosa lo definisce e lo identifica come tale? Una domanda che forse tutte le persone vissute fino a questo istante si sono poste almeno una volta nella vita (sin da quando quel famoso “anello mancante” tra la nostra specie e i primati ci ha reso tali afferrando il primo utensile e usandolo come arma, grazie all’influenza di un certo “monolite nero”).
Le risposte a tale domanda, da parte di studiosi, di filosofi o di semplici uomini, che le hanno elaborate davanti a una bottiglia di buon vino o sotto un cielo stellato, vanno ben oltre la nostra capacità di calcolo.
Molte di queste infinite risposte convergono in quella che viene considerata come la soluzione più immediata che si possa dare al quesito iniziale: l’essere umano è, per ora, l’essere vivente con il più alto livello di coscienza di sé e consapevolezza che sia mai esistito nell’universo conosciuto.
Molti si sono fatti bastare questa risposta e c’è qualcuno che magari ha pure considerato superflua questa domanda perché, del resto, alla fine basta vivere, no?
Ma oltre a filosofi e studiosi, molti altri hanno ragionato su questo problema e ovviamente il cinema, la letteratura, la poesia, i fumetti, i videogames e quasi tutte le forme d’arte hanno, volenti o nolenti, toccato questa problematica e provato a dare delle risposte. E nonostante alcuni di essi possano essere anche considerati semplici mezzi d’intrattenimento, hanno dato punti di vista piuttosto rilevanti al tentativo di rispondere a questa domanda.
Fra questi spiccano Blade Runner di Ridley Scott il film che nel 1982, nonostante il poco successo iniziale, cambiò per sempre il concetto di fantascienza cinematografica e il suo seguito Blade Runner 2049, uscito quest’anno e ambientato trent’anni dopo il film precedente.

La storia narrata, ispirata da un breve racconto di Philip K. Dick, “Do Androids Dream of Electric Sheep?” , al quale i due film devono anche la maggior parte dei concetti di cui tratteremo, ci porta in un futuro distopico in cui gli esseri umani sono riusciti a creare ciò che, nei film, viene chiamato “replicante”, cioè un essere umano artificiale identico in tutto e per tutto al suo modello di ispirazione umana ma non nato da un padre e una madre.
Questo nuovo tipo di essere vivente è immediatamente considerato alla stregua di una macchina, uno strumento che viene utilizzato dagli umani a piacimento: soddisfare desideri sessuali, combattere guerre, svolgere lavori pesanti e pericolosi, in pratica fare qualsiasi tipo di attività scomoda al posto dei suoi creatori. Per riassumere in una sola parola: schiavi, creati da zero solo per essere al servizio della razza umana.
Inoltre i Replicanti, poiché come detto pocanzi dovevano svolgere qualsiasi tipo di ruolo, spesso venivano creati “migliori” dei loro creatori, con altissimi quozienti intellettivi e abilità fisiche superiori. Delle vere e proprie “divinità” artificiali. Ma come si può controllare un “Dio” dopo averlo creato?” Abbiamo già avuto modo di vedere più volte, nel corso della storia, che quando l’essere umano ha creato una ”divinità” ne ha quasi subito perso il controllo.
Perciò nel film dell’82 ai replicanti vengono concessi solo quattro anni di vita, una data di scadenza ben precisa che coincide con il periodo medio che questi esseri impiegano a prendere coscienza della loro “condizione di vita” e cercare di cambiarla smettendo di essere schiavi. Ma questa presa di coscienza in alcuni replicanti accade in anticipo. Così viene istituita una unità speciale di polizia, la Blade Runner, con lo scopo di “ritirare” (in questo modo viene definito il processo di eliminazione) i modelli difettosi che vengono addirittura chiamati, in maniera fortemente offensiva, “lavori in pelle”. Inoltre ai replicanti non viene, ovviamente, data la possibilità di riprodursi.
Inizialmente è anche impossibile distinguere un essere umano da un replicante salvo non sottoporlo ad un particolare test psicologico.
Perciò cosa li distingue dagli esseri umani? Cosa gli vieta di vivere liberi e di essere padroni del loro destino? L’essere stati creati senza un processo riproduttivo può essere un discriminante?

In Blade Runner 2049 viene introdotto un motivo più spirituale che viene applicato dagli umani per differenziarsi dai nuovi modelli di replicanti, più facilmente controllabili tanto da non avere il limite di età di quattro anni. Tale motivo è il concetto di anima. I replicanti infatti, secondo gli esseri umani, non possono avere un’anima, essendo usati e considerati come degli avanzatissimi “elettrodomestici.”
Eppure una di loro, in questo azzeccatissimo seguito, arriva a concepire un figlio, andando oltre ogni limite genetico e dimostrando che la vita è sempre vita, senza che importi da dove venga. Questo distrugge l’ultima, fasulla, differenza tra umani “naturali” e umani “artificiali”.
Ma arriviamo al punto. I due Blade Runner hanno il solo scopo di rimarcare che gli esseri umani sono tutti uguali a prescindere da razza, cultura, religione, educazione, indole ecc.? Certamente lo hanno ma non solo.
Quest’universo cinematografico ci mostra un’altra importante “verità” che caratterizza l’essere umano dalla sua origine: la sua necessità assoluta di applicare “etichette” a tutto ciò che lo circonda allo scopo di autodefinirsi meglio. L’essere umano definisce se stesso attraverso le differenze che identifica negli altri, sia fisiche che psicologiche. Constatando che chi ci circonda è diverso da noi, ci sentiamo unici, inimitabili e ne andiamo fieri.

Questo concetto si estende dal particolare (per esempio, quando siamo scontenti di vedere che un altro ha il nostro stesso paio di scarpe) al generale (quando il malcontento di un paese viene sfogato su coloro i quali posso essere definiti stranieri, quindi diversi e, perciò, estranei).
Tutto ciò è, a mio avviso, ben lungi dal voler negare l’importanza dell’autoaffermazione del proprio io (necessità intrinseca della natura umana) ma semplicemente mette in luce come l’essere umano lo faccia da sempre partendo da una prospettiva “dannosa”: l’uomo cerca di affermare se stesso e la propria unicità partendo da elementi esterni, culturali, sociali, estetici, ecc. Mentre ,come ci ricordano le due pellicole, dovrebbe invertire la prospettiva cercando la sua unicità e autoaffermazione dentro di sé, partendo dalla sua interiorità che poi verrebbe necessariamente percepita anche da tutti gli altri.
Il primo Blade Runner ci ricorda questo in maniera molto esplicita quando fa citare a Priss, una dei replicanti in fuga, la frase di René Descartes ( meglio conosciuto come Cartesio) “Io penso dunque sono”, in risposta a un’infelice richiesta di un altro personaggio umano di “fargli vedere cosa può fare” come se fosse un qualsiasi apparecchio tecnologico sofisticato ma privo di vita.
Cercare il proprio io dentro di sé, diceva Cartesio. E, attraverso ciò, auto affermarsi al di fuori di sé e con gli altri. Perciò l’universo narrativo di Blade Runner ha, oltre a tutto il resto, il grande pregio di mettere in luce una delle più grandi debolezze umane, appunto quella di affermare se stessi sulle proprie differenze rispetto gli altri e, spesso e volentieri, a discapito di questi ultimi.

Per finire torniamo alla domanda iniziale: “che cos’è che definisce un essere umano?” La risposta, che forse Roy il replicante più celebre della prima pellicola insieme al protagonista del suo seguito, potrebbero fornire dal loro intelletto superiore, è che ciò che definisce l’essere umano è, purtroppo, sempre e solo l’essere umano stesso, decidendo arbitrariamente e egoisticamente ciò che può essere considerato simile o dissimile.

 

(Articolo di Pietro Martinetti)

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1 Commento

  1. Davide De Vita

    24/01/2018 at 0:14

    Okay Pietro, mi inviti a nozze scrivendo (con la maestria che ti riconosco) del mio cult movie per eccellenza, insieme a “2001”. La prima cosa che mi viene in mente è il test di Turing, superato il quale un robot o una macchina o quello che ti pare dovrebbe essere indistinguibile da un essere umano. Non mi risulta ci sia ancora riuscito “nessuno”. Il problema è che il futuro corre e robot e androidi – anche se in forma “primitiva” rispetto alle macchine perfette o quasi dei film da te citati – sono già tra noi; ancora, saranno temi molto più scottanti quelli che saremo costretti ad affrontare a breve, per esempio l’ancora più drammatica disoccupazione umana che quelle stesse macchine creeranno gioco forza. Certo, gli interrogativi che poni tu sono alti, direi nobili, ma temo non ci si lascerà il tempo o l’occasione di pensarci troppo, dissuasi come saremo da un… Sorriso metallico. Ciao, “Immorale” 😉

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