RECENSIONE DI COMMENTO POST SPETTACOLO “L’AVARO” PRESSO IL TEATRO RUGGERO RUGGERI A GUASTALLA
Confrontarsi con un capolavoro superbo e superlativo come L’avaro di Molière, è senza dubbio una sfida poderosa e davvero impegnativa, perché nonostante si tratti di un grande classico intramontabile, ogni rimando e richiamo di riferimento allusivo, va saputo sempre ben calibrare e dosare cum grano salis, per dare un accento acuto e arguto al palinsesto teatrale, senza sembrare scontati e standardizzati nella messa in scena. Lo spettacolo portato sul palcoscenico del Teatro Ruggero Ruggeri a Guastalla, dimostra come sia possibile recitare ispirandosi a questa opera omnia trovando un approccio molto godereccio e piacevolmente semplice e immediato, senza risultare banali e facendo un salto di qualità molto stimolante anche nell’attualizzarne la portata sostanziale e contenutistica. Il tocco abile e capace del talentuoso Ugo Dighero, artista di indiscusse risorse, è fondamentale per impreziosire tutto il palinsesto narrativo, ma altresì anche per fornire una soggettiva proiezione recitativa, che riesce a “scivolare” all’interno della contestualizzazione teatrale con grande naturalezza, come se davvero si fosse quasi “reincarnato” in questa figura celeberrima e avesse raggiunto un’immedesimazione assoluta, diventando un unicum con questo personaggio epocale. Spostando la narrazione in versione più attuale e moderna, il pubblico si sente parte in causa, perché ovviamente l’avarizia è un vizio-peccato capitale assai diffuso, che coincide con una dimensione umana negativa dalla quale bisogna distaccarsi. Ecco dunque, che questa performance teatrale celebrativa di Molière, nella sua grandezza di analisi e scandaglio del “suo avaro” per antonomasia, si propone di trasmettere il senso di valori cardine alla base di ogni rapporto e relazione, dove l’avarizia diventa fattore inquinante e compromettente in misura irreversibile. Su questa scia di pensiero saggio e lungimirante si muove e si evolve lo sviluppo dello spettacolo teatrale, che esorta quindi a evitare e scardinare ogni forma e manifestazione, consentendo allo spettatore di entrare nel merito di un cliché sociale da sempre esistente e presente, che nell’avvicendarsi dei sentimenti immateriali e delle passioni materiali, individua e definisce una netta linea di demarcazione, sulla quale la collettività è chiamata a mettersi in gioco, perché la tentazione del consumo sfrenato e del consumismo sperperante da una parte funge da desiderio bramoso e incontrollabile e dall’altra di contraltare, fa riflettere su ciò che invece conta veramente per arrivare alla felicità mentale e psicologica, che non ha niente a che vedere e a che fare con l’ideale consumistico fine a se stesso. A ciò si aggiunge la riflessione potente sul concetto di avarizia, che non va mai accostato a virtù positive come la parsimonia e la frugalità, che invece nobilitano l’uomo e la sua sfera morale ed etica. Il tutto costruito e stratificato egregiamente dentro questa miscellanea narrativa di eccellente teatralità rievocativa.
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