ANGELA FINOCCHIARO CON “IL CALAMARO GIGANTE” OTTIENE UN TRIPUDIO DI MERITATI APPLAUSI

Senza “se” e senza “ma”, senza “forse” e senza “magari”, senza alcuna plausibile e concepibile valutazione contraria o alternativa, si può affermare, che Angela Finocchiaro, nella sua carriera coronata da grandi successi e da consensi ricevuti all’unanimità da parte di pubblico e di critica di settore, è già di per sé una garanzia “garantita” al 100%, perché possiede un talento fremente e palpitante, che la spinge a dare sempre al meglio del meglio in ogni sua performance recitativa. Partendo dunque da questo assioma assodato e incontestabile, lo spettacolo dal titolo metaforicamente imprevedibile “Il calamaro gigante” sul palcoscenico del Teatro Ruggero Ruggeri di Guastalla, non poteva assolutamente deludere le elevate aspettative, confermando e riconfermando il virtuosismo teatrale, che appartiene al suo DNA genetico di attrice di calibro e di caratura. Cimentandosi nella trama di una messa in scena per certi aspetti anche lasciata in sospensione interpretativa parziale e consentendo allo spettatore una libera e discrezionale lettura interpretativa molto avvincente in chiave introspettiva, la maestra d’arte Angela Finocchiaro ci guida e ci accompagna in una texture, che si intesse di variabili significati insiti e sottesi, tratteggi concettuali modulabili e modellabili nell’insieme dell’orchestrazione canalizzata a fornire una panoramica di caleidoscopica composizione. La sua inimitabile e inconfondibile impronta recitativa e traccia artistica viene a suggellare la sintonia e l’empatia scaturite dalla sua presenza scenica rassicurante, collaudata da lunga esperienza e da radicate risorse, che però non diventa mai ostentata ed esibizionista, trovando sempre una formula espressiva di avvicinamento paritetico verso lo spettatore, che la sente figura affine e riesce a capire e comprendere la sensibilità gentile, che riserva sempre con passione affettuosa al suo nutrito pubblico di fan,, di estimatori e ammiratori, che ne apprezzano molto questa componente di amabile simpatia cordiale e quella volontà di genuina spontaneità. Il racconto teatralizzato viene scandito da rimandi e richiami stimolanti e viene arricchito da quella sua allure dialettica sempre gradevole e piacevole da ascoltare, mai troppo, mai oltre, mai esagerata e tanto meno esasperata. Tutto viene così ben assettato e ben improntato, scorrevolmente alla portata di tutti, facilmente intuibile e positivamente analizzabile, senza complicati enigmi di cosiddetto “rompicapo” e senza ambivalenze o plurivalenze subliminali da decifrare in maniera cervellotica. Arriva tutto quanto e subito alla grandissima, senza ostacoli e senza condizionamenti e tutto torna nelle riflessioni, che acquistano e rivestono anche una matrice di stampo filosofico-esistenziale, che si presta a dare un’integrazione rafforzante all’intera magistrale interpretazione della Finocchiaro e della compagnia di attori al suo fianco, che si destreggiano con acclarata abilità. Un plauso speciale va anche a Bruno Stori, co-protagonista della vicenda, che intreccia alla perfezione il suo ruolo con quello della Finocchiaro e trova un’alchimia di corresponsione comunicativa davvero convincente coinvolgente, che infonde armoniosità d’insieme. Ecco allora, che nella stratificazione di trasformazione del libro di Fabio Genovesi, che diventa trasfigurazione teatrale e teatralizzata, tutto viene sapientemente convogliato e altrettanto argutamente e sagacemente rivisitato con una finalità socialmente attiva di fruizione percettiva, consacrata da tutto il gruppo di attori, ognuno dei quali concorre e contribuisce a costruire un vero e proprio splendido mosaico spettacolare, nel quale trionfa il senso del mare magnum esistenziale, che scorre e al contempo lascia e si lascia scorrere all’interno di un flusso e di un fluire vitale, che appartiene alla dimensione umana e umanistica della visione collettiva e va coltivata e costruita, come una sorta di piccola-grande lezione di insegnamento, che l’arte teatrale riesce sempre ad accentuare, amplificare, evidenziare ed esaltare al meglio nella sua potenza intrinseca. Perché, l’accettazione della realtà sorretta dal sogno e dalla voglia di continuare a sognare ancora e ancora, in maniera consapevole, coerente e responsabile, non è mai sintomo di rassegnazione desolante e desolata e tanto meno di condizione sconfortante e senso di impotenza, ma è invece una presa di coscienza di enorme evoluzione individuale e collettiva. “Il palcoscenico non è solo un mondo a parte. È una miriade di mondi ed è in quei mondi che un uomo può avere tutto quello che immagina, se solo lui crede in ciò che vede” (Kathe Koja).

 

 

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