MARAGISCA

Maragisca è un brand nuovo creato da Massimo Giorgetti per divulgare in serie limitata una serie di gioielli realizzati in pezzo unico nell’arco di oltre un ventennio. Massimo Giorgetti ha fatto studi di architettura, abbandonati in prossimità della laurea, si occupa di interior design e, insieme all’architetto Sandro Beneforti e ad altri professionisti, di progettazione edile, in particolare di progettazione sostenibile.

La passione per l’oreficeria è stata una pratica semplicemente piacevole ma anche un modo per verificare, in un ambito limite, alcune convinzioni alla base della pratica della progettazione e non solo.

Massimo Giorgetti vive e lavora nei pressi di Pistoia. I gioielli Maragisca sono realizzati su licenza da Marco Ballini, artigiano orafo che tramanda i saperi della vera oreficeria artigiana. Marco Ballini vive a lavora a Sesto Fiorentino.

 

 

CONTATTI

  • Sito web: www.maragisca.it
  • E-mail: info@maragisca.it
  • Concept e Progettazione: Massimo Giorgetti      339 7295088
  • Produzione e Commerciale: Marco Ballini             055 420 00 38

 

Collezione BUR

Collezione BUR
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Collezione BUR > Bracciale e orecchini: una lastra in oro di forma rigorosa violentata con la fiamma, azione da cui scaturiscono forme nuove, sempre diverse, caratterizzate dalle alterazioni fisiche del materiale lasciate al naturale.

 

INTERVISTA A MASSIMO GIORGETTI – a cura di Elena Gollini

D: Come nasce la passione verso il mondo del gioiello artistico?
R: Fui incuriosito da questo mondo nei primi anni ’80 visitando una mostra di Cleto Munari. Da lì, frequentando la facoltà di Architettura, ebbi la tentazione di provare a disegnare qualcosa allorché si presentarono alcune occasioni e, su segnalazione di un amico, entrai in contatto con un artigiano orafo e un artista vero che è Arturo Clement con il quale iniziò un’amicizia sincera e dal quale ho imparato molto; non solo di oreficeria. Arturo assecondò umilmente le mie idee e realizzò i miei disegni dandomi consigli preziosi. Le prime cose realizzate non sono attualmente nel catalogo Maragisca. Più tardi entrai in contatto con un imprenditore vicentino, oggi molto famoso, che accettò di realizzare alcuni miei progetti. Questi furono interpretati in funzione delle peculiarità produttive dell’azienda e i gioielli realizzati risultarono sostanzialmente diversi dai disegni originali ma in ogni caso sono ancora molto grato al mio coetaneo vicentino per avermi dato allora questa opportunità. Si trattò comunque di una collaborazione occasionale dopo la quale io tornai ad occuparmi del mio lavoro principale continuando a disegnare gioielli sporadicamente solo quando avevo un’idea da verificare.

D: A quale target di fruitori si rivolge il brand e come viene impostata la mission aziendale? Quali progetti stai mettendo in campo per il 2018?
R: Premetto che il brand è stato creato per passione per esprimere un’idea di design, prima ancora che di vendere dei manufatti, con la curiosità di vederla condivisa. Quindi nessuna pressione di fatturato con una produzione pressoché on demand, abbastanza diversa dall’offerta corrente, capace di esprimere il connubio tra design contemporaneo e autentica manualità millenaria. Un progetto alla maniera del design anni ’60 e ’70 in cui dalla sinergia appassionata tra artigiano-imprenditore e designer nascevano idee di prodotto in autonomia dalle tendenze del mercato. Il marchio è stato registrato così come tutti i modelli. Il target che noi ipotizziamo è rappresentato da un soggetto con una consapevolezza critica sufficientemente matura da scegliere liberamente qualcosa non solo che gli piace ma, ripeto, di cui comprende e condivide l’idea che vi sta all’origine. Per quanto riguarda i progetti, l’iniziativa commerciale, pur se fisiologicamente di nicchia, parte quest’anno e quindi in questi mesi, compatibilmente con i miei impegni di lavoro, vorremmo riuscire a stabilire un rapporto di collaborazione attiva con un numero molto limitato di rivenditori. E’ quello che stiamo cercando di fare.

D: Come valuti in generale il comparto del gioiello artistico e come pensi che si differenzi rispetto al settore orafo più seriale e commerciale nella progettazione e nella produzione?
R: Innanzitutto direi che quel tipo di “arte” applicata al gioiello che si esprime senza limiti senza tener conto della indossabilità non mi interessa. Credo che (perfino) un gioiello debba essere pensato non solo per essere portato con relativa facilità ma anche lasciando spazio all’interpretazione di chi lo indossa senza sovrastare ma anzi integrare e valorizzare la sua identità. Detto questo, per quanto mi riguarda, preferirei parlare di design che mi sembra già molto. Per citare forse il più grande designer vivente, il design di qualità ha la particolarità di stabilire a monte un modello di mondo ideale che vincola ogni fase del progetto e questo, per quanto ho premesso, vale anche per un oggetto puramente decorativo come un gioiello. Viceversa, quello pseudo-design inteso come pura creatività è qualcosa a cui non sono interessato anche se sono consapevole che è perfettamente funzionale a derive consumistiche persistenti che mi auguro siano superate quanto prima possibile. Non voglio fare del moralismo spicciolo, rilevo soltanto che quel tipo di cultura, di economia, di relativismo vuoto ecc. ormai in esaurimento non generino più felicità. La questione ambientale e quella demografica stanno imponendo la consapevolezza del concetto di “limite” e questo è antitetico ai presupposti di un’economia fondata sulla crescita in generale e su quella dei consumi in particolare; conseguentemente la nostra cultura deve cambiare radicalmente superando la produzione compulsiva dei nostri desideri che non è più sostenibile né, appunto, ci rende più felici come un tempo. Ma questo può aprire a nuovi concetti di libertà e di soddisfazione non necessariamente rappresentarne una limitazione. Il limite che nell’era preindustriale e “preconsumistica” era indotto per la maggioranza delle persone dalla miseria può costituire oggi un valore consapevole e propositivo denso di prospettive nuove. Una nuova utopia finalmente. Un nuovo Rinascimento. Il fatto è che il modello economico e culturale che stiamo superando è stato, per sua natura, come una droga dagli effetti strabilianti da cui non è facile uscire; dobbiamo rieducare non solo il nostro pensiero ma anche i nostri sensi a nuove forme di gratificazione e a una libertà ritrovata. Ma qual’è il modello di mondo ideale a cui uniformare anche una piccola e “inutile” azione come quella di creare gioielli? Per ricostruire una consapevolezza bisogna preliminarmente ristabilire la facoltà di comprendere le cose per quello che sono, facoltà inibita dalla cultura dalla quale stiamo uscendo. Una perla, un filo di metallo assemblati in modo da ridurre al massimo ogni rumore di fondo al fine di poterne isolare l’essenza. L’eliminazione di ogni ridondanza sia di segno positivo che di segno negativo: dell’opulenza come del minimalismo. Il minimo, la Semplicità, è quello che mi interessa. Una sintesi ideale alla quale forse si può solo tendere all’infinito ma non è importante. L’importante è mantenere lo sguardo fermo sulla linea di un orizzonte tornato ben definito. Si tratta di un’operazione non solo difficile ma anche frustrante poiché presuppone la resistenza a codici convenzionali riconoscibili e vendibili. Anche il superamento di questa frustrazione fa parte della “rieducazione”. Ritornando più pertinentemente alla domanda, la produzione seriale non può invece non dipendere dal fatturato tanto più oggi in cui la situazione economica contingente e la concorrenza globalizzata rendono molte attività imprenditoriali molto più vulnerabili che in passato. L’impresa deve crescere e quindi o tende a una produzione tendenzialmente banale e omologata, quindi già “venduta”,o tenta la spettacolarizzazione, formale o “venale” di cui parlavo prima, per ostentare diversità illusorie o per offrire “dosi massicce” per target facoltosi e culturalmente primitivi. Naturalmente salvo eccezioni mirabili peraltro presenti anche nelle collezioni di alcune grandi aziende. La piccola diversità che noi proponiamo, ripeto, è di natura “reazionaria” rappresentata dal ritorno a una qualità artigianale al servizio di un lavoro di design critico e libero e di quantità “numerabili”. Quindi, torno a ripetere, prima che gioielli belli o brutti, una proposta tendenzialmente paradigmatica di un modo di vedere le cose in generale.

D: Ti avvali anche del supporto di figure esperte e specializzate? Come è composto il team di lavoro?
R: Ovviamente. Io sono solo il designer che ha dato vita al progetto Maragisca curandone ogni dettaglio. Me ne assumo la responsabilità, nel bene e nel male…. Le creazioni Maragisca, materialmente, sono realizzate su licenza da Marco Ballini, un bravissimo e giovane artigiano figlio d’arte e custode di una manualità d’altri tempi sempre più preziosa per quanto ho detto prima. Confesso che non è stato affatto facile trovare una piccola azienda o, come nel caso di Marco, un singolo artigiano che abbia accettato di confrontarsi con un progetto come quello da me proposto. Il rapporto tra me e Marco è molto sereno. I prototipi vengono evoluti fino al punto in cui ci sembrano rispondenti a tutti gli obiettivi ed è un lavoro abbastanza estenuante proprio perché gli obiettivi stessi non sono convenzionali. Poi c’è Andrea che realizza le confezioni, altra peculiarità significativa di Maragisca, costituite da scatole in Faggio massiccio trattate con olio rigorosamente bio-ecologico e Bruno che realizza l’allestimento delle scatole. Tutti lavoriamo con una tempistica, un approccio al lavoro e con rapporti umani di una qualità di altri tempi in linea con l’dea all’origine del progetto. Quella stessa che offriamo alla condivisione dei nostri clienti potenziali che per questo non possono che essere qualcosa di più che semplici acquirenti e qualcosa di molto diverso da consumatori. Voglio spendere poi una parola per Jacopo il giovanissimo e straordinario videomaker che ha girato il video interpretando le mie richieste “divaganti” con grande sensibilità e professionalità.

 

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