PAOLO MORI

Biografia di Paolo Mori

Paolo Mori, pittore autodidatta, nasce a Colleferro (Roma) nel 1967 ed attualmente risiede a Pescara dove vive e lavora.

La passione per l’arte e la pittura iniziano sin da bambino grazie all’esempio di uno zio pittore e ceramista, insegnante presso un noto istituto d’arte, ed ad un innato interesse per tutto ciò che riguarda in generale le tecniche pittoriche e del disegno, con particolare attenzione alla tecnica della pittura ad olio.

Sia durante il periodo iniziale degli studi (liceo scientifico e laurea in ingegneria), sia durante gli anni nei quali ha lavorato come manager presso multinazionali in Italia ed all’estero, ha avuto modo di frequentare gallerie d’arte e studi di artisti, approfondendo le conoscenze stilistiche e le tecniche dell’arte classica e contemporanea.

Proprio durante questi anni, sino ad arrivare ai tempi odierni, lo stile dell’artista si delinea e si orienta verso una visionarietà alimentata da interessi scientifico/tecnologici, spirituali e naturalistici, attraverso un continuo tentativo di raggiungere, tramite le immagini prodotte, un unicum concettuale dove senza soluzione di continuità ciò che viene rappresentato è al tempo stesso naturale ed artificiale e dove la presenza dell’uomo ed il suo relazionarsi con il mondo, è imprescindibile, evidenziato dalle costanti tracce lasciate nel corso del tempo.

Ad oggi, dopo anni di difficile coniugazione tra il lavoro e la passione per l’arte, da quasi un anno circa, l’artista ha deciso di far diventare l’arte, nello specifico la pittura, la sua unica attività principale, dedicandovisi a tempo pieno, con tutte le difficoltà del caso.

L’artista, pur definendosi un pittore “realista” ha fatto sua la seguente citazione, ritenendo possa ad oggi rappresentare al meglio la sua linea di pensiero:

“La nostra dimensione abituale si sfila, apre un varco dinnanzi a noi come il telone che si leva sulla scena di una pièce teatrale, lascia intravedere dimensioni “altre”, paesaggi mai contemplati prima”.

(Cit. L’uomo e le stelle – di Donatella Baldarotta)

 

Attività espositiva

  • 1990 – Collettiva I edizione Premio Arte Città di Colleferro (RM)
  • 1992 – Collettiva III edizione Premio Arte Città di Colleferro (RM)
  • 1995 – Collettiva Sguardi verso il contemporaneo – Città di Fondi (LT)
  • 1997 – Mostra Personale al Forte Spagnolo dell’Aquila dal titolo Paesaggio Perfetto
  • 2010 – Collettiva presso Galleria D’Arte Rosanna D’Adamo di Pescara

 

CONTATTI

 

INTERVISTA ALL’ARTISTA – a cura di Elena Gollini

D: Come definiresti il tuo stile espressivo usando 3 parole chiave e motivandole ?
R: E’ sempre difficile sintetizzare il lavoro artistico pittorico attraverso poche parole, in quanto si ha sempre il timore di essere riduttivi. Provando in ogni caso a farlo, le 3 parole che meglio esprimono il mio stile espressivo sono: Realismo, Metafisico, Astratto.
Realismo, perché tutti i miei lavori sono lavori realistici, ossia partono sempre da immagini realistiche di paesaggi prevalentemente montani, da icone mitologiche o religiose del passato, da animali selvatici, da impianti tecnologici che permeano la nostra vita contemporanea. La relazione tra questi elementi e le diverse declinazioni espressive sono per me grande fonte di ispirazione che mi affascina molto. La loro rappresentazione può avvenire attraverso elementi più o meno visionari o astratti ma di base l’immagine prodotta è sempre un’immagine realistica, razionale che non si discosta molto dalla realtà delle cose che vediamo attraverso i nostri occhi.
Metafisico, in quanto da sempre la pittura metafisica, De Chirico in particolare, ha avuto una grossa
influenza sul mio lavoro. Le visioni inquietanti e misteriose di De Chirico rappresentano appieno quel confine tra reale e ciò che è oltre l’apparenza fisica. Spero proprio che nei miei dipinti realistici questo aspetto metafisico emerga, ossia oltre una lettura generata dall’apparenza sensibile della realtà empirica delle cose, si possa cogliere dell’altro che va oltre.
Astratto, perché di fondo ogni immagine reale è al contempo astratta e viceversa. Mai come oggi flow
chart, schemi di vario genere, immagini geometriche servono per rappresentare in maniera ottimale e
schematica cose reali della vita di tutti i giorni. Anche i paesaggi e le dinamiche che li governano (si pensi alle previsioni meteo) sono rappresentabili attraverso algoritmi matematico geometrici. Tanti artisti più o meno contemporanei (Bruno Munari, Peter Halley) hanno intuito questa cosa da tempo
producendo opere eccezionali che per me costituiscono una grande fonte d’ispirazione.

D: Una tua riflessione sul concetto di vocazione artistica ?
R: La vocazione artistica credo sia una vocazione che al pari di qualsiasi altra vocazione attinente altri ambiti (religiosa, solidale, medica, etc), è innata in chi la possiede essendo impossibile acquisirla se non la si ha. La vocazione artistica va coltivata, nutrita ed indirizzata in modo corretto al fine di poter essere funzionale all’essere un artista. Chi possiede questa vocazione tenta, attraverso la produzione di opere (di qualsiasi genere), di esprimere il proprio pensiero, la propria visione interna, lasciando una traccia autonoma della propria esistenza, esterna al proprio corpo, al proprio essere. E’ una necessità, non la si può scegliere, è una sorta di energia, di fuoco interno che sottende la vita stessa e ne influenza in molti casi le decisioni ed il cammino. Naturalmente non basta la sola vocazione per essere degli artisti, intendendo il senso più nobile di questa parola. Tanti cosiddetti artisti, anche di fama, credo non abbiamo alcun tipo di vocazione artistica mentre tante persone mosse da una forte vocazione artistica non trovano una loro strada nel mondo dell’arte.

D: Su quali progetti stai incentrando il tuo percorso artistico ? Come intendi impostare il 2020 ?
R: Fondamentalmente vorrei maggiormente lavorare ad opere di grandi dimensioni in particolare mi riferisco ai paesaggi dipinti ad olio su tela o grafite/carboncino su tavola. L’opera di grandi dimensioni è paradossalmente di più facile esecuzione tecnica di una più piccola (le campiture sono più grandi, eventuali errori si correggono più facilmente), richiede una maggiore progettualità ed un grande sforzo fisico, ma l’impatto visivo finale è indubbiamente notevole ed affiancata alle opere più piccole, rafforza e catalizza l’aspetto iconografico di queste ultime. Per far questo però avrei bisogno di trasferirmi in uno studio più grande, cosa che al momento non posso fare se non realizzo prima, nel nuovo anno, un altro importante obiettivo che è quello di trovare una o più gallerie con cui collaborare, che credano nel mio lavoro e mi aiutino ad ampliare il numero di collezionisti/sostenitori.

 

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