ROBERTO IZZO

Biografia di Roberto Izzo

Roberto Izzo, classe 1992. Vive a Scafati (Sa) dove, appassionato al disegno, inizia il percorso artistico presso l’Istituto d’Arte “Giorgio de Chirico” di Torre Annunziata (Na) per poi proseguire gli studi e il percorso artistico all’Accademia di Belle Arti di Napoli dove si laurea e specializza in Pittura e Arti Visive con una tesi sui “Margini dell’Arte”. Attualmente, presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, è cultore della materia “Tecniche Performative” con Enzo Palumbo. Durante il periodo accademico, partecipa a varie esposizioni e concorsi, tra i più importanti: “Il Pio Monte della Misericordia, Napoli, 2014” e “Codice Italia Academy, Venezia, 2015”, mostra organizzata in occasione del Padiglione Italia della cinquantaseiesima Biennale. Inoltre, nella città di Napoli è vincitore di un Premio Speciale da parte della giuria al concorso “Unione Industriali, 100 anni di imprese” e finalista al “Premio Pezzuti per l’Arte, seconda edizione”. Grazie ad un’attenta analisi condotta sul segno come gesto, ha spaziato in varie ricerche tematiche (soprattutto sul viaggio e sulle periferie) aventi come denominatore comune dinamismo e sintesi della forma, sperimentando non solo tecniche tradizionali come pittura e scultura, ma anche i nuovi linguaggi comunicativi come la fotografia e i software digitali.

 

URBAN EDGE

Col termine “urban edge” voglio indicare ciò che comunemente chiamiamo “periferie”, ed è facile che esse assumano subito un carattere negativo. Le ragioni sono ben note nell’immaginario collettivo, secondo il quale questi luoghi rimandano subito ad una condizione di precarietà e di marginalità dovuta ad un certo tasso di degrado. Quando si parla di periferie il grigio è il primo colore che viene in mente, colore del cemento e dell’acciaio che rimandano all’idea dell’industria e degli ampi spazi. Oltre al grigio dei materiali, agli spazi e alle forme che caratterizzano questi luoghi, anche l’aspetto acustico riveste un ruolo peculiare, alternando ai silenzi spettrali rumori di veicoli, officine, fabbriche ecc. Diversamente dal centro abitato, in cui ci si adagia all’idea di una certa sicurezza e status sociale, in periferia prevale un forte senso di disagio e pericolo dovuti innanzitutto ad una situazione di isolamento e quindi di scarsa sorveglianza ed efficienza dei servizi. Sono questi i principali elementi che prevalgono nell’immaginario comune di questi spazi. Fatta questa breve premessa, dai connotati per lo più negativi, questi luoghi sono una sorta di “porta” che collega città limitrofe o campagne con il proprio centro urbano, dei “nodi” come le definisce l’antropologo francese Marc Augé quando parla dei suoi “nonluoghi”. Questi rappresentano l’altra faccia della città, senza maschere e senza filtri nella loro vera identità. È qui che vengono svolte le attività industriali e manifatturiere, dati gli ampi spazi a disposizione ed è sempre qui che passano tutte quelle attività vitali per un Paese, dall’agricoltura all’allevamento, dalle centrali elettriche e idroelettriche al settore edilizio ecc. Tutto questo costituisce un paesaggio dalla bellezza inusuale, una bellezza intesa non con l’accezione classica del bello estetico, ma una bellezza scaturita dalla funzionalità delle strutture. L’elemento decorativo è quasi assente nei margini di una città, ma spesso di manifesta attraverso quelle pratiche considerate marginali e non socialmente accettate come: i graffiti, la street art, i dazebao ecc. Le pratiche sopracitate nella cultura di massa assumono il più delle volte una valenza negativa, ma in realtà queste pratiche, appartenenti a culture e subculture diverse, oltre ad avere l’aspetto decorativo rappresentano delle vere e proprie denunce sociali. Questo aspetto è importante in quanto evidenzia in maniera indiretta il fermento in ebollizione che alberga in una città, dovuto soprattutto ad una condizione di disagio. Partendo da queste considerazioni la mia ricerca sui margini urbani non vuole essere esaustiva sull’aspetto decorativo-culturale appena citato, ma sulla bellezza estetica funzionale di questi luoghi. Tralasciando gli aspetti negativi di tutte quelle attività illecite di criminalità organizzata, di ignoranza ecc. che purtroppo invadono i nostri territori soprattutto periferici, è bene ricordare l’aspetto politico che incide in modo marcato su questi paesaggi, solitari e degradati volti alla produzione in serie di piccole e medie attività imprenditoriali che determinano la ricchezza del nostro Paese, tirando in ballo realtà venutesi a creare con la Prima e soprattutto con la Seconda rivoluzione industriale.

 

CONTATTI

 

 

INTERVISTA ALL’ARTISTA – a cura di Elena Gollini

D: Una tua riflessione sul concetto di vocazione artistica;
R: La vocazione è una particolare inclinazione verso qualcosa e come tale la si può scoprire e coltivare fin da piccoli, oppure scoprire di essere portati per certe cose in età più adulta. Essa è parte latente in noi stessi e solo il tempo decreterà quando prenderemo coscienza di queste “abilità automatiche”. In generale quando si parla di vocazione artistica si intende, non solo, la passione per le arti visive, i colori, le forme, le idee creative ecc, ma anche per la musica, il teatro, la poesia e la danza indicate come Gesamtkunstwerk o “opera d’arte totale” a detta delle parole di Richard Wagner. Rispondendo alla domanda non posso prescindere dalla storia della mia vocazione o quella di alcune persone che ho conosciuto negli anni e mi piace raccontarla in questi termini. Per me è come avere un potere innato rispetto agli altri sotto forma di abilità creative, del disegno e del modo di vedere il mondo fenomenico. Direi che la vocazione artistica se individuata e coltivata in tempo può produrre grandi soddisfazioni a livello personale e sociale, al di là delle difficoltà che vi si presentano. Non tutti, purtroppo, hanno la possibilità di coltivare la propria vocazione artistica; ho ascoltato diverse persone che, pur coscienti della loro inclinazione, si limitano a darle spazio solo la domenica o raramente in alcune occasioni, altri si son dedicati alla propria vocazione artistica soltanto una volta andati in pensione. In questo senso mi ritengo molto fortunato. La vocazione artistica è una vera compagna di vita, va ascoltata e va nutrita con la giusta dose di perseveranza e motivazione.

D: Su quali progetti creativi ti sei focalizzato quest’anno?
R: Attualmente la mia ricerca si focalizza sulle immagini di periferia, soprattutto sulle architetture e gli elementi che la compongono. In realtà, questa indagine è l’evoluzione della precedente ricerca sul “viaggio”. Paesaggi fotografati dal finestrino del treno, da un bus o dall’auto, principalmente durante il tragitto per raggiungere Napoli dalla provincia, mi hanno dato la possibilità non solo di riflettere e concentrarmi su una ricerca tematica, ma mi hanno portato ad osservare meglio quei luoghi di transito, normalmente e puntualmente trascurati agli occhi dei più. L’interesse per quelle immagini intermittenti, hanno suscitato in me, la curiosità di scendere dai mezzi e immergermi in quei luoghi periferici e industriali che, vedevo in modo fugace dietro un finestrino, per raccontarne la bellezza insolita delle strutture e del paesaggio in generale. La morfologia paesaggistica di questi suburbi, si presenta semplice con ampi spazi e dall’architettura profondamente legata alla funzione operativa e simbolica. Gli scheletri delle abitazioni sono dunque il simbolo di due realtà complementari: crescita o abbandono, così come le cortine rappresentano i luoghi intimi di aggregazione e gioco oppure reame dell’illegalità.
La visione dei paesaggi industriali e periferici (i cosiddetti margini urbani), hanno su di me un fascino, come vedessi dei luoghi familiari, in cui avverto il bisogno di raccontare. Vivendo, appunto, in periferia ho sempre trovato questi luoghi, ricchi di stimoli e, spazio in cui riflettere, lontano dal caos del centro. Attraverso la ricerca artistica, ho avvertito il bisogno di raccontare la bellezza delle forme che compongono il paesaggio fatto di: fabbriche, case popolari, campi spesso incolti, ponti, ampi spazi, strutture industriali ecc., ma anche il disagio che questi luoghi suscitano in me, attraverso una sorta di sintesi geometrizzata. L’indagine inizia con un primo approccio di tipo fotografico, con il cellulare, mezzo che si rivela tra i più versatili e inosservati, soprattutto in luoghi come le periferie, infatti, ho apprezzato di gran lunga il suo utilizzo rispetto ad una normale reflex. Il bozzetto mi permette di sintetizzare l’immagine e, attraverso linee e macchie di trovare i punti di equilibrio cromatico e compositivo, dopodiché si passa al lavoro definitivo su tela.

D: Come pensi che le nuove generazioni di studenti e scolari possano essere stimolate verso il mondo dell’arte e della cultura in generale?
R: Sicuramente oggigiorno non basta spiegare l’arte ai ragazzi con un libro avanti, ma cercare di coinvolgerli quanto più in prima persona recandosi sui luoghi d’arte, musei, svolgere attività artistiche presso laboratori, e prendere visione alle mostre ecc. Credo che partire dal contesto territoriale in cui vivono gli studenti, sia un modo per renderli quanto più partecipi, stimolandoli alla cultura. Inoltre, la tecnologia svolge un ruolo importantissimo per le nuove generazioni, soprattutto per il suo carattere interattivo e cross-mediale, favorendo un maggior coinvolgimento. Basta pensare alle lavagne interattive inserite nelle moderne classi 2.0, che vede in un certo senso facilitato il lavoro di educazione e conoscenza. Concludendo, dunque, l’intensa attività di spiegazione della storia dell’arte, unite saldamente alla storia, alla politica e alla religione, nonché delle varie chiavi di lettura e comunicazione delle opere, può in qualche modo educare le nuove generazioni alla cultura. Ovviamente ciò dipende da un buon insegnante o soggetto promotore di cultura, il quale ha la responsabilità di coinvolgere e appassionare i ragazzi verso un mondo in cui sono continuamente circondati, ma che purtroppo non sempre ne sono consapevoli.

 

PHOTOGALLERY

Condividi