GIULIA BIASINI

Biografia di Giulia Biasini

Giulia Biasini

Giulia Biasini nasce a Milano nel 1992.
Frequenta il corso di scenografia teatrale e si laurea in Pittura all’Accademia di Brera, dove comincia il suo percorso artistico, legato soprattutto alla sperimentazione delle tecniche e materiali. Partecipa al progetto “Casa Canvas” nel 2016, dove continua ad esporre e vendere le proprie opere. Realizza laboratori artistici per bambini, nelle scuole dell’infanzia. Collabora con giovani emergenti per la realizzazione di illustrazioni. Ha realizzato un progetto di ricerca sull’identità e il “vedersi” con un gruppo di persone non-vedenti dell’Istituto dei Ciechi di Milano. Si trasferisce per un anno all’estero, in Spagna, dove prosegue il suo percorso con i bambini e si dedica ad un tipo di pittura più astratta e paesaggistica. Il suo lavoro si centra prevalentemente sulla potenza del segno e della gestualità con cui si costruiscono le forme, come la più intima espressione di ognuno. Tema centrale del suo lavoro artistico è l’autoritratto: si tratta di dare un’immagine alla propria identità, che non è necessariamente di natura visiva, ma rappresenta il modo in cui ognuno “si vede” e si percepisce. Anche il corpo quindi gioca un ruolo fondamentale: esso è veicolo attraverso cui conoscere il mondo, ma anche contenitore: dotato della giusta sensibilità per recepire anche il più piccolo cambiamento; questa sensibilità è rappresentata da un particolare modo di vedere le cose e dalla capacità di forgiare e rimodellare la materia dell’osservazione. Che cos’è infatti il volto? Esso non è che il volto di ciascuno, ma anche uno tra gli altri, un volto che diventa tale solamente quando entra in contatto con altri volti, guardando o venendo guardato. Il farsi di un’immagine comincia interrogando le apparenze e tracciando dei segni. Ogni artista scopre così di trovarsi in un processo a doppio senso, perché disegnare non è solo misurare e annotare, ma anche ricevere.
La mia ricerca inizia da qui, a partire da uno sguardo, per tornare alle origini: il primo “io” della storia.

 

INTERVISTA ALL’ARTISTA – a cura di Elena Gollini

D: Come ti definiresti nel tuo fare arte? Ritieni di avere una certa impronta picassiana nello stile espressivo?
R: Arte è fare, trasformazione della materia, costruzione o ricostruzione di una piccola porzione di mondo e luogo di produzione di opere fatte di linguaggi, di simboli, metafore capaci di influenzare e arricchire la società e la cultura che li ospitano e li alimentano. Gestualità è la parola chiave del mio fare artistico. Disegnare non è solo trasporre pensieri ed emozioni, ma muoversi fisicamente nel “luogo foglio di carta”, tracciare dei segni che insieme andranno a ritrarre il mondo. Ciò che mi fa sentire più vicina all’arte di Picasso è la sua ricerca di una dimensione originaria, arcaica; attraverso la semplificazione del gesto pittorico egli si mostra in favore di una necessità di riappropriarsi di una dimensione prima: l’archetipo. Credo che il segno sia l’espressione più intima e significativa di ognuno di noi, per questo do’ molta importanza al disegno che permette di tradurre l’idea nella sua forma più pura. Il gesto inoltre è necessariamente legato al corpo, al sentire, alla manualità: disegnare non è solo tracciare dei segni, diventa un’operazione completa che coinvolge pienamente. La trasfigurazione è un’altra forma espressiva che caratterizza il mio lavoro e che ritrovo inevitabilmente legata a Picasso e ad altri artisti esponenti dell’Espressionismo: la deformazione intesa come filtro attraverso cui io interpreto la realtà e mi interpreto, dando possibilità allo spettatore di ritrovare più personalità in un immagine. Il mio percorso artistico può essere definito come una raccolta di identità: ritrarre non è altro che raccontare un viaggio, dare uno sguardo caleidoscopio dentro alle persone, per ritrovare al loro interno la storia di tutti coloro che entrano a far parte dell’esistenza.

D: Quali sono i progetti artistici che hai in serbo per il 2018?
R: In questo momento sono ospite del progetto “Casa Canvas”, che espone e vende alcune delle mie opere, mentre proseguo il mio percorso realizzando dipinti a mano su collezioni di ceramiche e porcellane da poter introdurre nel mondo del design. Nello stesso tempo porto avanti la mia vocazione per l’insegnamento artistico, e realizzo laboratori d’arte con bambini delle scuole dell’infanzia: fin da bambino ognuno di noi ha in se’ la giusta curiosità per scoprire il mondo, e dall’analisi di essa si può così
osservare di dispiegarsi dell’esperienza creativa, e con essa la relazione dell’ “io” con il mondo esterno.
Questo rapporto trae origine dall’infanzia, in quanto luogo in cui l’identità stessa viene a formarsi.
Sono i bambini infatti che insegnano all’adulto come rapportarsi veramente con la realtà, in questo senso l’infanzia è un modello cui prendere esempio per educare lo sguardo al mondo e nei rapporti con l’altro. Inoltre scrivo e illustro racconti, ed ho in progetto diverse collaborazioni con artisti emergenti e aziende.

D: Un tuo commento di valutazione sulla situazione attuale del mondo dell’arte e della cultura in generale;
R: Ci troviamo in un momento socio-culturale in cui i media e la tecnologia permettono alle opere d’arte di essere fruibili e riproducibili all’infinito; ciò è molto importante per l’artista e per chi vuole avvicinarsi e meglio comprendere il mondo dell’arte, ma questa modalità può portare a una svalutazione del fare artistico e un calo dell’attenzione da parte dello spettatore. Si tende spesso a concentrarsi sempre più su opere d’arte concettuali, che coinvolgono il pensiero e rimandano a problematiche sociali e filosofiche, mentre si va sempre più perdendo il significato del “fare”, dello sguardo introspettivo. Oggi siamo esposti a migliaia di messaggi visivi ma, paradossalmente, siamo sempre meno capaci di vedere. Così spesso accade che le personalità di ognuno vengano annullate, non si presta più attenzione alla propria identità, alla diversificazione come valore positivo, procedendo vertiginosamente in direzione di una pericolosa omogenizzazione dei caratteri. L’ “io” oggi non è più specchio delle necessità interiori, ma riflette solamente la realtà fisica e immediata fuori di noi: una visione superficiale degli oggetti di cui ci circondiamo. Personalmente credo che fare arte, essere artisti, non sia frutto di un’equazione fisica, ma quanto un modo di essere, di vivere e di percepire il mondo. il “genio” non si riconosce dalla sua notorietà, ma dalla quotidiana modalità in cui opera, pensa e si muove nello spazio, scomponendo ed elaborando la realtà in migliaia di pezzi che vanno a comporre la sua persona. L’arte ha il compito di essere sincera, ed emozionare in modo reale chi ne fruisce.

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RECENSIONE CRITICA – a cura di Elena Gollini

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre” (Albert Einstein).
Per Giulia Biasini il fare arte coincide con la conferma della propria evoluzione interiore, tesa a costruire e ad affermare una centralità mentale e fisica, che va oltre l’esercizio creativo di puro diletto tecnico. Attraverso le opere stabilisce e consolida un profondo legame tra l’Io e il Tu, dove le forme e i colori hanno visualizzato e reso possibile un processo di comunicazione attraverso il poliedrico linguaggio dell’arte. Quando si fa ricerca sperimentale in modo serio e accurato, il cammino non è mai lineare e standardizzato, ma si modula e si definisce con uno schema graduale e articolato. Di questo Giulia è pienamente consapevole e si cimenta con convinta e motivata intraprendenza, compiendo uno studio sempre ponderato e scrupoloso.

Viviamo in una realtà complessa, siamo in un’epoca in cui il rapporto con la dimensione del reale è mediato da una sorta di pellicola artificiale, da un diaframma tecnologico e massmediale nel quale si rifugiano fatti, persone e cose come dentro un fatuo ed effimero”Olimpo degli Dei” che tutto avvolge, impedendo di scrutare nuovi orizzonti di vita. Anche l’arte sta soffrendo di questa condizione. Negli ultimi sessant’anni si è assistito ad un drammatico conto alla rovescia, come se in ogni momento dovesse finire la Storia. Si sono succeduti movimenti artistici, la cui durata temporale è andata via via diminuendo, per arrivare in un non luogo senza tempo dove tutto è diventato arte perché si è sospeso ogni giudizio di valore. Ma se tutto è diventato arte, niente è arte. L’ansia di occupare un qualche posto nella Storia si è tramutata in un delirio di onnipotenza, in parossistiche mistificazioni dove il dire si è sostituito al fare. I tempi lunghi delle riflessioni sono stati banditi. Tutto dev’essere fatto e consumato in fretta per sprofondare nel baratro del vuoto e del nulla, dove anche la nostra vita rischia di venire sprecata senza essere vissuta. Contrapponendosi a queste visioni negative, Giulia intraprende questo percorso con un progetto di ricerca che vuole scandagliare oltre e in se stessa, usando un criterio analitico. Ogni testa, ogni volto riprodotto si pone nella sua assolutezza, occupando un proprio spazio esclusivo e distintivo e lasciano nello stesso tempo spazio dentro di sé a tutte le realtà. Un dentro e un fuori che interagiscono in un flusso continuo e costante di energia in espansione. Come in un crogiolo affiorano una miriade di interrogativi intorno al senso dell’essere, si agitano, si scontrano, si fondono, si lacerano, si intersecano alla ricerca di equilibri dinamici in un gioco infinito. Interrogativi che vengono oggettualizzati e contestualizzati dalle forme e dai colori dentro l’alveo della struttura plastica compositiva. Struttura la cui configurazione spaziale ed emotiva cambia e si trasforma in conseguenza di un processo costruttivo autonomo e indipendente. Le immagini evocate riportano in luce rappresentazioni che prima di essere fuori erano già dentro di lei, sono la rivelazione di una sua realtà mentale, ovvero riflessioni materializzate nello scenario narrativo. Ogni raffigurazione è traslata in sostanza psichica che si condensa tramite il gesto creativo e visualizza l’energia proveniente dal cervello. Ogni opera racchiude delle speciali tensioni spazio-temporali, dove la materia pittorica si riscatta vestendosi di anima.

Per Giulia l’arte ha il compito di sublimare l’essenza dell’Io più intima e recondita. Il tratto segnico cambia di intensità con il mutare della pressione della mano, individuando luci e ombre in un continuo rapporto dialettico tra loro, che si alimenta in ogni creazione di proprie componenti caratterizzanti. Giulia non riproduce nel senso descrittivo del termine, non si attiene a una riproduzione meccanica e fotografica, non ostenta nessuna sdolcinata e stereotipata perfezione. Vuole diffondere un fare arte senza fermarsi dentro una formula espressiva di necrosi visiva, che blocca l’immaginazione e l’invenzione creativa e chiude la mente dentro un recinto di statica passività e di alienanti condizionamenti. Ogni spettatore, valorizzato nella propria unicità, si sente direttamente partecipe dell’azione creativa, nella consapevolezza che l’arte ha il compito di rendere visibile l’invisibile e non è una sorta di miraggio e di allucinazione privata, ma una delle forme universali più alte e qualificate per conoscere veramente se stessi e la realtà del mondo di cui facciamo parte. Per Giulia l’arte è un potente linguaggio visivo per concretizzare “l’impalpabilità” delle immagini presenti nella mente. Per Giulia l’arte fornisce continue risposte all’interrogativo sul senso dell’esserci nel mondo, rendendo visibili e ponendo in circolazione realtà mentali, che altrimenti rimarrebbero sconosciute. Nelle sue figurazioni si addentra nello sfaccettato labirinto dei circuiti cerebrali, per dare risposta alle domande esistenziali conferendo loro una “forma”. È con la forma che si può ricostruire l’energia vitale intrinseca, riuscendo a rendere visibile l’invisibile oggettivandolo.

In ogni lavoro si coglie qualcosa che va al di là della sua destinazione estetica e formale perché vive di un proprio valore qualitativo sotteso. I segni che tracciano le raffigurazioni sono la trasmutazione visiva della sua “forma mentis” intesa come emanazione di quella fisica, costituita da un caleidoscopio di pensieri, di percezioni, di emozioni, da un turbinio interiore di sentimenti che sgorgano come da una sorgente inesauribile, offrendo sorprendenti sfumature interpretative. Giulia ci insegna che la pregnanza dei pensieri cambia di significato in base alla nostra particolare condizione e predisposizione mentale. Ci insegna che ci vuole molto tempo per fare luce dentro di sé, togliendo i lacci invisibili che rendono dipendenti le nostre azioni e i nostri pensieri e che ci vuole molto tempo, affinché si creino le condizioni per liberarsi da tutto ciò che impedisce il cammino verso la piena consapevolezza di sè. Consapevolezza, che non si cristallizza una volta per sempre fuori dal tempo e dallo spazio, ma si evolve in rapporto alle relazioni sociali e alle esperienze di vita, siano esse positive che negative. Per Giulia la consapevolezza di sè e della propria tensione esplorativa in quanto donna artista, equivale ad un flusso di energia in costante trasformazione dinamica per dare un senso autentico alla complessità del reale.

Chi cerca se stesso prima o poi si trova. All’interno del cervello umano è nascosto il più grande dei tesori: la libertà dell’Io che rende l’essere sovrano di se stesso”.
La differenza tra follia e genialità è che il folle è dissociato dalla realtà e tenta di imporre la propria follia; il genio vede ciò che non vedono gli altri e lo rende visibile e comprensibile”.
(Michele Trimarchi, rivista “Cultura e Natura”).

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